martedì 9 settembre 2008

Ri-scoperte

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...
Era primavera, e c'erano le elezioni comunali. Sul nostro programma di lista, tra i vari punti, uno parlava del "recupero delle tradizioni", la riscoperta del passato. E' un tema che va molto di moda, di questi tempi, soprattutto in settori della politica (italiana) in cui io non mi identifico (chissà se anche viaggiare con un'ampolla di acqua dal Piemonte al Veneto è presentato come riscoperta delle tradizioni...): nonostante questo, come si può capire anche dal mio posto vagamente "amarcord" sulla storia di Meda, mi sento legato al passato della mia terra e credo che sarebbe proprio stupido lasciarselo scappare.
La Vallecamonica, d'altra parte, nella seconda metà del novecento ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi della sua tradizione contadina, pastorale, artigianale, per trasformarsi in una zona industriale, che doveva avere come settori di punta l'energia elettrica, la siderurgia e il tessile. A vederla con gli occhi del presente, l'idea non sembra particolarmente brillante: una valle con scarse risorse di metalli ferrosi, in cui è difficile arrivare, collocata ai margini di - ehm - tutto! Comunque, così venne deciso, e degli sforzi del passato ci rimangono ora alcune affascinanti archeologie industriali (vedi Forno d'Allione) e alcuni decenni di ritardo nello sviluppo di un'economia sostenibile, che permetta a chi nasce qui di continuare a viverci.
Una delle vie con cui creare lo sviluppo che ci manca, poteva essere il turismo: Pontedilegno aveva iniziato già nei primi anni del secolo (scorso) la sua trasformazione a centro di villeggiatura. Anche qui, però, durante il corso del '900 si è preferito puntare sul turismo di massa e sulle seconde case, e così oggi per ogni fortunato Dalignese, in paese ci sono 5 appartamenti (ovviamente non suoi), ma chi viene a Ponte in vacanza solitamente preferisce trascorrere qui un week-end mordi e fuggi, magari farsi una sciata, e poi ritornarsene in fretta a casa.
Il fatto è che la Valle non sembra avere molta personalità: mentre i Valtellinesi ed i Trentini hanno saputo vendere bene quello che il passato gli aveva lasciato, e così ora chiunque sa da dove vengono i pizzoccheri, noi non siamo stati in grado di fare altrettanto.
Dobbiamo recuperare il tempo perduto: io non sono interessato tanto a "favorire lo sviluppo economico di Pontedilegno". Il fatto è che se continiuamo sulla strada della mercificazione sfrenata della nostra terra, i costi, per noi e la terra, sono assolutamente insostenibili (cementificazione del paesaggio, distruzione della cultura locale).
Tutto questo sproloquio, perché di recente mio padre ha trovato, in un vecchio archivio di foto, alcune immagini di Pontedilegno durante gli anni della guerra. Sciatori nei prati sopra la chiesa, le slitte trainate dai cavalli che portano i "signori" della città verso il passo del Tonale.
In questo c'è il bello e il brutto del passato: da un lato, qualcosa di unico (le slitte con i nomi degli alberghi, i conducenti con i vestiti tradizionali, il paese con la sua fisionomia), dall'altro, l'assurdo "rispetto" che i nostri avi avevano per "i siori", ovvero i ricchi villeggianti che potevano permettersi di venire in vacanza. Non tutto ciò che è passato è buono: oggi il turismo deve aiutarci a recuperare la nostra cultura; quello che invece non deve fare, è ridarci il vizio di "toglierci il cappello". L'ospitalità, l'accoglienza vera, sono fondate su un sentimento di parità - il che, per altro, mi fa pensare che la prima, vera accoglienza non è certo quella che si applica alla famiglia di vacanzieri, ma quella rivolta ad ospitare chi, venendo da lontano, cerca un nuovo fazzoletto di suolo da chiamare "casa". Ma seguire questo filo porterebbe davvero lontano.

2 commenti:

Uruclef ha detto...

A volte mi chiedo cosa davvero ci sia rimasto della vecchia cultura della valle; probabilmente ci sono cose davvero degne di tornare. Credo però che vada posta molta attenzione al significato di "riscoperta": quando si parla di queste cose mi si rizza sempre un po' il pelo sul collo, non perché sia una cosa brutta in quanto tale, ma perché in certi (troppi) casi si risolve in un modo per rendere caratteristico un luogo a mò di trappola per turisti. Mi chiedo (è una domanda autentica, non un dubbio retorico) - visto che parli della Valtellina - cosa sia davvero rimasto della tipicità, se per i valtellinesi sia davvero un valore vivere nella loro terra o se sia solo un'etichetta o un modo per essere "tipici" con in testa però tutt'altro. Mi viene in mente ad esempio un certo tipo di danze tribali in paesi lontani, che se un tempo avevano davvero un significato in quel luogo e in quel tempo, ora sono solo uno spettacolino.
Più generale: come mai recuperare il passato è il modo giusto per restituirà identità a un territorio? (ammesso che lo sia naturalmente)

ivan faiferri ha detto...

Recuperare il passato non significa riproporlo tale e quale, o magari "renderlo moderno" snaturandolo. Il "recupero" che ho in mente comprende da una parte il vivere l'evento in maniera più o meno autentica, cioé sentire il bisogno di manifestare in quel modo un aspetto della comunità che abitiamo.
E' il paese che, mettendosi in piazza, vuole fare vedere all'altro, ma non solo all'altro, in cosa consiste la sua unicità. Per questo le danze tribali - ma anche certe "feste paesane" molto locali - finiscono per essere solamente un oggetto di consumo, e non rientrano per nulla in ciò che etichetto come "riscoperta".
Penso che una delle discriminanti sia il fatto che in una tradizione ancora viva - rispetto ad una resa solamente oggetto di consumo - la comunità che si esprime prima di tutto di fronte a se stessa, e poi di fronte a chi la osserva dall'esterno.
Ti faccio un esempio: a Palazzolo si celebra tutti gli anni la "festa di Mura", la sagra dell'antico quartiere medievale. E' un evento assolutamente slegato dal medioevo, che trae origine dal '900, ma è una di quelle che potremmo definire "tradizioni vive": tutti gli abitanti del quartiere - dai giovani agli anziani - partecipano attivamente, lo sentono. La presenza di turisti, curiosi, visitatori non è il fine primario dell'evento - si tratta di un evento per il paese stesso, in cui, attraverso il lavoro comune e poi i festeggiamenti, si (ri)scrive ogni anno una parte dell'identità.
Ora sto un po' improvvisando, ma avremo occasione di parlarne ancora!