E' un dibattito, una disputa, frustrante: si parla dei contenuti della riforma, che sono in realtà una serie di operazioni di facciata che celano l'unico vero obiettivo, quello di fare cassa. Le proteste giustificate sono contro i tagli, mentre non si dovrebbe nemmeno discutere proposte come quella del grembiule per tutti che dovrebbe riportare la disciplina tra i banchi. Tutto fumo, ma molta parte dell'opposizione sembra felice di dedicarsi a questo.
Nel frattempo, ho letto un libro, di Giancarlo Maculotti, l'ex direttore didattico delle elementari di Pontedilegno. Si intitola Lettera dalla Scuola Tradita. Ne ho scritto una recensione.
"Lettera dalla scuola tradita"
Già dal titolo, questo libro si rivela per ciò che è: un'indagine. Dunque, siamo di fronte ad un giallo, la storia di una congiura, un tradimento di cui vanno individuati vittime e colpevoli.
Come nei migliori gialli, tutto all'inizio sembra chiaro. Vittima è la scuola: ora basta capire chi le abbia vibrato il colpo. Ma ecco, pensa l'ispettore togliendosi la pipa di bocca, ci sarebbe da chiedersi chi fosse questa scuola. Che abitudini aveva, chi frequentava. Che motivi ci sarebbero stati, insomma, per un delitto tanto efferato!
E così, veniamo catapultati in un crimine intricato. Perché effettivamente, lei, la Scuola, è qualcosa di complicato, un'istituzione, un luogo in cui si intersecano interessi molteplici e la sua situazione attuale deriva dalla responsabilità dei molti soggetti che ne fanno parte. Tra i principali sospettati, potremmo mettere genitori, insegnanti, alunni, organi statali. Ma se proviamo ad interrogarli, a seguirli, ad intercettarne le comunicazioni, le relazioni, scopriamo che le responsabilità del tradimento provengono da ciascuno di loro e che, nello stesso tempo, tutti loro ne sono vittima in un modo o in un altro. Dunque, la lettera dalla scuola tradita non è la storia di un solo, ma di più tradimenti. Quale è la radice del male, allora? La madre di tutti i crimini? Ci si rivela man mano che leggiamo il libro, ma già inizia a delinearsi nelle citazioni di apertura di ogni capitolo, tratte dalle lettere di don Milani. Questi incipit delineano un mondo ancora contadino, dove maestri, alunni e genitori lottano per ottenere e consegnare alle generazioni future una scuola.
E allora il primo dei tradimenti è quello che le nuove generazioni hanno perpetrato nei confronti dei vecchi: la scuola che è stata consegnata al presente a prezzo di fatica, lotte, sacrifici, viene ora disprezzata e calpestata.
Lo sviluppo dell'inchiesta ci porta in un mondo squallido, decadente, tenebroso, in cui brillano isolati gli sforzi di ottimi individui, che si trovano però alle prese con un meccanismo troppe volte più grande di loro.
La sensazione che permea ogni pagina è la sfiducia: nessuno crede più in ciò per cui le generazioni passate hanno combattuto, cioé nel potere della scuola di produrre uomini liberi, di formare il cittadino, emancipare l'individuo.
Alla scuola, allora, i vari soggetti coinvolti, chiedono altro: i genitori vogliono che trasformi i figli in uomini di successo, fornendo loro capacità immediatamente spendibili sul mercato, o che si comporti come un gendarme che opera mentre loro sono al lavoro; la politica chiede alla scuola di essere il ricettacolo di tutti coloro che il mercato non sembra in grado di sfruttare (laureati in discipline umanistiche in primis); gli alunni ed a volte anche gli insegnanti, chiedono alla scuola di essere un luogo di passaggio, un momento della giornata da abbandonare nel minor tempo possibile.
Tutti questi comportamenti si traducono così nella delusione degli studenti, che non possono venire certo spronati da insegnanti demotivati, a loro volta alle prese con genitori insoddisfatti. Nel vario gioco dei corporativismi, ciascuno cerca di ottenere il più possibile da quella che appare ormai una carcassa destinata a smembrarsi.
Da qualche parte, negli anni passati, è avvenuto qualcosa che ha causato il crollo della fiducia nel grande compito che era stato assegnato alla scuola. In effetti, la scuola oggi è concepita in termini antiquati; non ha saputo stare al passo coi tempi. Per capirlo, basta riflettere su quello che, allora come oggi, dovrebbe essere il suo compito, ovvero l'emancipazione: questa si produce fornendo a ciascuno la possibilità di scegliere con la sua testa, di percorrere il cammino della vita con le sue gambe. In un mondo con scambi ridotti, dove i viaggi erano difficili e notizie, informazioni ed idee circolavano lentamente, la scuola aveva il compito di fornire combustibile al pensiero: mettere i ragazzi a contatto con le novità per fare sì che, tramite la lettura di libri altrimenti inaccessibili, o il confronto con esperienze fuori dalla loro portata, essi potessero ampliare il loro orizzonte culturale, valicando i limiti più o meno stretti della loro comunità.
Oggi, tuttavia, il problema non è più quello di dare contenuti: le informazioni sono sovrabbondanti, le tecnologie disponibili, alla mano. Più volte, tra le pagine del libro, scopriamo la presenza dei nuovi mezzi di comunicazione e vediamo spesso che gli studenti appaiono essere molto più capaci di usarli dei loro insegnanti. Ma effettivamente, oggi, per emancipare il singolo non bisogna dargli altri contenuti: la scuola ha un altro compito, è chiamata a fornire gli strumenti culturali per permettere a chi la frequenta di compiere le sue scelte, di analizzare correttamente la complessità del reale che improvvisamente ci si presenta di fronte agli occhi.
Tutto potrebbe essere tradotto in una formula: formare lo spirito critico.
Le soluzioni pratiche, a volte quasi banali, proposte nel libro puntano a trasformare la scuola da luogo di passaggio, quasi di confino, ad esperienza di vita; a ricreare un rapporto diretto con il mondo, per comprenderlo, attraverso lo studio delle lingue dei paesi stranieri, sempre meno estranei alla nostra realtà, o attraverso l'approccio pratico ai problemi, che porti a saper comprendere come applicare al quotidiano gli strumenti che ci vengono messi a disposizione.
Presentare poi ogni argomento in maniera problematica e non assertoria è uno dei punti cardine della strategia per sventare il tradimento; effettivamente, è più importante imparare ad elaborare una strategia nuova di fronte ad una situazione nuova, piuttosto che sperare di potere avere una ricetta già scritta contro tutto.
Tutto questo per portare alla costruzione di un'identità dinamica, non vincolata a dogmi o precetti, ma che sappia relazionarsi e trasformarsi in relazione ai mutamenti del mondo, per potere rimanere, nel suo vero nocciolo, coerente con se stessa.
La crisi della scuola è così lo specchio attraverso cui leggere la crisi della società moderna. La lettera, che a tutta prima poteva sembrare un saggio un po' tecnico, ci si è mostrata poi un giallo, ma si rivela infine essere un libro eminentemente politico.
Le soluzioni pratiche che sono enunciate nascondono a loro fondamento l'analisi di un male che colpisce la comunità e additano un percorso da compiere per uscirne.
Se il senso più proprio da dare alla politica, poi, è quella di presentare soluzioni totalmente innovative a questioni che interessano tutti, se ogni azione politica dunque tende per sua natura ad essere rivoluzionaria, ecco che la lettera ci propone proprio di rivoluzionare il modo con cui oggi pensiamo alla scuola, per ridarle il valore e la funzione che un tempo aveva.
Buona lettura, dunque.
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